Una delle critiche che più spesso mi è stata rivolta quando espongo il mio scetticismo sul movimento odierno preoccupato del climate change è la seguente:
Semplificare è necessario per aumentare la consapevolezza della popolazione sui rischi che corre il pianeta. Spaventarla la porterà a comportamenti più ecologici, premierà partiti ecologisti e porterà a buone soluzioni.
Ora, tralasciando l'ipotesi che la genta non sappia nulla del climate change (cosa che possiamo assumere falsa), questa convinzione si basa sull'idea che le politiche ambientaliste siano giuste a priori o al più "tanto male non fanno", dunque si tratta solo di convincere la popolazione ad adottarle. Il problema ricorrente dello smog invernale in Italia mi offre uno spunto perfetto per dimostrare il contrario.
Le politiche ambientaliste non analizzate, ma spinte dall'onda di emotività, sono se va bene costose e inutili, ma possono pure aggravare i problemi ambientali.
In questa intervista il direttore del CNR dice quello che da anni tutti sanno e cioè che la classica reazione all'aumento delle polveri sottili in città (il blocco del traffico automobilistico), è inutile.
E il motivo è molto semplice, le automobili sono responsabili ormai di una quota limitata dello smog. Quando infatti abbiamo deciso (all'inizio giustamente)che le automobili sono il mostro, abbiamo imposto una selva di limitazioni che hanno portato una automobile oggi in piena corsa ad emettere meno inquinanti di una auto spenta del 1970.
Ma a quanto pare non è mai abbastanza e quindi si continua a cercare di cavare sangue dal muro, addirittura con il blocco assoluto, pure di modelli che sostanzialmente non inquinano. Come mai?
Perchè il messaggio semplificato che è stato dato alla popolazione è che la colpa sia della automobili e quindi si continua per quella strada, spingendo per la loro elettrificazione o meglio il divieto assoluto. Inoltre, in questo modo la politica dimostra alla popolazione di provare ad affrontare la questione, la quale è pompata da una grancassa mediatica che appunto sulla scia del "tanto male non fa" esagera un problema che, pur rimanendo tale, negli anni si è fatto sempre meno rilevante, come vedete qui sotto.
Bisognerebbe invece ricominciare da capo e spiegare alla popolazione che il problema non è il traffico, ma il riscaldamento. Successivamente, come responsabili vengono gli allevamenti e la produzione industriale. Solo in fondo troviamo il traffico, ormai sostanzialmente ininfluente.
Ma prima che chiediate a gran voce di far vivere la popolazione al freddo per non danneggiare l'ambiente, specifichiamo che un impianto a metano o GPL inquina molto meno di uno a gasolio e immensamento meno di un riscaldamento a legna. Quindi anche qui, non tutto il riscaldamento pesa uguale e si avrebbe già un netto miglioramento utilizzando prevalentemente il gas.
Questo è un classico esempio in cui una politica ambientalista (come il blocco delle auto) non solo crea costi eccessivi per i benefici ricavati, ma aggrava la situazione, poichè, senza contare i costi in termini di benessere, poi sarà difficile chiedere ulteriori sacrifici alla popolazione, tentando di spiegare che quel che hanno subito finora era pressochè inutile. E invece bisognerebbe eliminare le caldaie più inquinanti (tra le quali figurano quei bellissimi caminetti a legna e pellet) o richiedere particolari filtri obbligatori.
Qui la cosa poi si intreccia in maniera interessante con il tema del climate change. Infatti la retorica sul tema ha trasformato i combustibili fossili in una specie di demonio da scacciare da ogni ambito possibile, addirittura ritornando a fonti di energia che avevamo, non per niente, abbandonato secoli fa, quali il vento o la legna.
Come abbiamo visto la legna è responsabile dello smog, per il suo carico di particolato che emette bruciando eppure è tuttora sussidiata dallo stato e della Unione Europea nella lotta contro i combustibili fossili (in questo articolo trovate invece una difesa delle moderne stufe, meno inquinanti, che tuttavia mi lascia freddo sulla necessità di continuare a sussidiare il settore).
Addirittura non solo si incentiva il riscaldamento domestico a legna (spesso di anno in anno, nella legge di stabilità, attraverso IVA agevolata o sussidi diretti per installazioni e simili) , ma si continua ad incentivare gli impianti di produzione elettrica a "biomassa", che è un altro nome per la legna, i quali riducono le emissioni nette di CO2 per il semplice fatto che rilasciano solo ciò che le piante assorbono dall'atmosfera (mentre i combustibili fossili rilasciano CO2 sepolta sottoterra). Tali impianti emettono molto particolato nell'aria, sono a bassa resa e richiedono molto materiale che deve essere trasportato e per questo vengono (giustamente, aggiungo io!) criticati da alcuni gruppi ambientalisti. Sopravvivono sostanzialmente solo grazie ai contributi pubblici.
Ecco quindi che per inseguire la riduzione di emissioni di CO2, con un almeno dubbio beneficio (raccontato nelle scorse puntate) stiamo avendo un effetto tangibile di peggioramento della qualità dell'aria.
Paradossalmente poi addossando poi la colpa alle scelte di trasporto dei cittadini, i quali hanno l'ardore di voler continuare a spostarsi col loro mezzo preferito e che in tutto ciò pagano 3 volte: sborsano infatti i sussidi alla legna, si beccano il blocco delle automobili e infine sono colpiti dall' aumento di patologie respiratorie. Personalmente credo invece che chiedere di ripensare le politiche ambientaliste sia abbastanza doveroso. Come lo è pretendere che le informazioni fornite al pubblico siano precise, volte a trovare soluzioni e non capri espiatori e che non siano esagerate volontariamente allo scopo di "spaventare". Questo, credo, è l'unico modo per ottenere soluzioni pubbliche non schizofreniche.
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