Prima dell'arrivo della crisi sanitaria, avevo descritto uno dei motivi per cui si litiga sul climate change. In quel caso descrissi le polemiche sul cambiamento climatico come l'ennesimo episodio di una lunghissima diatriba tra chi sostiene che per risolvere i problemi serva un disegno intelligente e chi invece sostiene che siano piccoli aggiustamenti spontanei e apparentemente casuali, a salvare l'umanità. In questo post parlerò dell'altro motivo per cui si litiga: le preferenze personali.
Credo infatti non ci si renda conto che alla base di quelle che reputiamo essere politiche ottimali, le decisioni "giuste", stanno dei valori, che in quanto tali sono estremamente soggettivi. Eppure ci appaiono così naturali, innati, che non riusciamo neppure a concepire che una persona possa averne degli altri, meritevoli di altrettanto rispetto. Così ci sembra invece più semplice pensare che l'altro sia ancora una volta un disinformato, un delinquente o un misto delle due cose. Se volete, vi è un dibattito simile in corso proprio sulla pandemia, tra chi sostiene la supremazia della tutela della salute e chi invece pensa che la propria libertà, di movimento o di socializzare, valga più del rischio di ammalarsi. Ma ritorno subito al tema.
Perchè preoccuparsi del climate change?
Credo di poter individuare due o tre (ma sarei felice di riceverne nuove!) motivazioni che spingono molta gente a battersi per questa causa.
La prima è puramente utilitaristica. L'umanità rischia, con una qualche probabilità, di veder peggiorare grandemente la qualità della propria vita sulla Terra nel futuro. Si richiede dunque un sacrificio oggi, per poter assicurarsi un futuro migliore. Un atteggiamento prudente, avverso al rischio e con una visione di lungo periodo.
La seconda è di natura altruistica. Si vuole dare una mano, contribuendo ad aiutare i paesi poveri e le persone più fragili, che saranno i più colpiti dai cambiamenti climatici. Inoltre si vuole aiutare anche le altre forme di vita, che hanno difficoltà ad adattarsi a cambiamenti più veloci di quelli osservati solitamente in natura.
La terza è di natura più spirituale. Una motivazione non legata ad una particolare religione, ma innata in quasi tutta l'umanità: la volonta di conservare. La distinguo dalle altre due perchè spesso non è dettata da un vantaggio per qualcuno, è puro e semplice desiderio di mantenere le cose come stanno. Il fatto che le margherite fioriscano a febbraio, che alcuni paesaggi naturali possano modificarsi o scomparire (pensiamo ad alcuni ghiacciai) ci fa orrore, a prescindere che questo abbia una qualche effettiva conseguenza sulla specie umana. Così come la scomparsa di alcune specie viventi. Aneddotticamente, noto che proprio mentre si affievolisce sempre più nella società l'idea religiosa di una entità trascendete che ci impone delle regole, ecco che più si rafforza una sorta di dovere umano di preservare il creato. Un dovere evidentemente sovra-umano, religioso, perchè è un dovere talmente centrale in molte persone, che, per loro, va ricercato anche a costo di danneggiare la specie umana stessa, di limitarne il benessere o il numero. Questo sentimento conservatore mi ha sempre affascinato. Credo abbia un evidente lato positivo: tentare di non rompere equilibri, per loro natura fragili, che finora hanno garantito la nostra sopravvivenza. Vi consiglio il libro "Menti Tribali" di Jonathan Haidt, per approfondimenti sul tema.
Queste tre motivazioni varieranno molto da persona a persona e non voglio qui discutere quanto le soluzioni ad oggi in campo riescano a raggiungere gli obiettivi qui ricercati. Quello che vorrei far notare è che sono obiettivi oggettivamente condivisibili.
Dunque perchè non siamo tutti impegnati nella lotta al cambiamento climatico?
Semplicemente esistono anche altri valori altrettanto importanti da difendere.
Perchè non preoccuparsi del climate change?
Vi sono almeno tre buone motivazioni simmetriche alle precedenti, che possono portare le persone a scegliere di ostacolare le politiche "verdi".
La prima è utilitaristica. Non abbiamo tutti lo stesso grado di avversione al rischio. Alcune persone consapevolmente preferiscono correre dei rischi: pensiamo a tutti quelli di noi che consumano alcolici, ben sapendone l'effetto deleterio o tutti coloro che usano l'automobile, conoscendo il rischio di fare un incidente. Non è "sbagliato", è soggettivo, non è disinformazione o poca consapevolezza, è avere altre preferenze. Allo stesso modo, alcune persone danno molto più peso al presente o vicino futuro, rispetto al lontano futuro, probabilmente perchè nel lungo periodo l'incertezza regna sovrana. Utilizzando le parole di Keynes: "Nel lungo periodo, siamo tutti morti". Infine, è pure una questione redistributiva tra noi presenti e noi del futuro (o i nostri figli). Ricordate che pure secondo i modelli usati dall'IPCC, il PIL mondiale è previsto nel 2100 essere 3-4 volte più grande rispetto ad oggi (con una popolazione in crescita solo di circa il 50%). Ciò significa che chiedere a noi oggi di fare sacrifici per gli abitanti del futuro (più ricchi), è all'incirca equivalente a chiedere agli abitanti della Turchia di far qualche sacrificio per aiutare l'Italia. Suonerebbe piuttosto iniquo.
La seconda è di nuovo altruistica. Infatti, sebbene sia vero che i poveri sarebbero i più colpiti dal cambiamento climatico, è pur vero che sono i più colpiti dalle politiche volte ad evitarlo. Non solo, sono anche quelli che per ovvie ragioni trovano più giovamento dalla crescita economica, ostacolata dalle varie politiche ambientaliste (ci tengo a sottolineare questo banale fatto, che è costoso modificare il sistema economico attuale, perchè alle volte viene negato dagli ambientalisti, ma magari ci ritornerò in futuro). Per comprenderlo, basta rendersi conto che per le famiglie più povere il costo dell'energia (riscaldamento, cucina ed elettricità) è una delle spese principali, mentre diventa irrisoria per le famiglie benestanti. Non per niente esistono i sussidi ai combustibili fossili nei paesi in via di sviluppo: servono ad aiutare le famiglie più povere ad avere accesso ai beni primari. Le famiglie benestanti spendono invece una maggior quota del reddito in beni di lusso e servizi, consumi che vengono intaccati molto meno dalle cosiddette tasse ambientali. Inoltre, vivono spesso in città, dunque hanno accesso anche a mezzi di trasporto alternativi. Per questo chi si oppone a queste tasse, spesso lo fa in nome delle categorie già più svantaggiate nella società. Infine, è evidente che anche l'atteggiamento nella sostanza ostile, di gran parte del mondo in via di sviluppo agli appelli contro il cambiamento climatico, è frutto della consapevolezza che è proprio la crescita economica la priorità numero uno per i più poveri. Crescita economica che fornirà loro le stesse armi con cui noi occidentali ci difendiamo, sempre con maggior successo, contro le stranezze del clima. Opporsi alle politiche verdi è dunque sedersi a fianco di questi paesi più poveri.
La terza di natura filosofica, è più che altro in contrapposizione alla terza del punto precedente. Fino a quanto l'umanità deve preoccuparsi di conservare la Terra così com'è? Che ammontare di risorse è eticamente corretto investire per salvare specie viventi e paesaggi, quando al giorno d'oggi abbiamo ancora milioni di esseri umani che potrebbero potenzialmente essere salvati, con una frazione di quelle stesse risorse? Non credo vi sia una risposta immediata, visto che in fondo nessuno ci ha affidato il compito di tutori dell'ecosistema mondiale. Semplicemente, è un ruolo che ci auto-assegniamo forse giustamente, ma fino a che punto?
Mi sembra dunque evidente che la risposta al problema del climate change possa variare in base ai pesi che ciascuno di noi dà ai vari punti qui considerati. Come dunque arrivare ad una decisione? Discussioni e sistemi istituzionali democratici dovrebbero essere adatti ad arrivare ad un compromesso accettabile, anche se probabilmente scontenterà tutti. Il punto che mi preme sottolineare è però che è davvero difficile difendere l'idea di una verità scientifica, da imporre con qualche stratagemma. Anche la scienza fosse perfettamente certa delle proprie previsioni, questa componente di preferenza personale rimane ed è giusto che le diverse parti la possano esprimere. Insomma, continueremo a litigare, ma almeno cerchiamo di capirne i motivi.
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