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I dati sulle emissioni


Proprio mentre scrivevo questo post, l'economista John Cochrane sul suo blog ha scritto (meglio di me) il punto che volevo fare con questo post, per cui oltre a consigliarvi la lettura, ho pensato di rubargli l'immagine dell'elefante nella stanza.


Perche' questa immagine? L'impressione che mi sono fatto nell'ascoltare i costanti inviti a "fare qualcosa per il clima" e' che all'opinione pubblica non si abbia abbastanza coscienza di quello che salta subito agli occhi guardando i dati mondiali sulle emissioni di CO2. L'elefante nella stanza appunto.

Cosi' spesso mi ritrovo a leggere di proposte presentate come svolte epocali per salvare il pianeta, come l'idea di tassare i voli europei, ma che a conti fatti non scalfirebbero neppure la superficie del problema.


Riporto qui il grafico delle emissioni di C02 per paese


L'elefante nella stanza si chiama Cina (e altri paesi in via di sviluppo).


Quello che salta agli occhi e' che anche con tutta la buona volonta' del mondo, l'Unione Europea da sola non conta ormai assolutamente piu' nulla. Meno del 10% delle emissioni. Significa che anche arrivassimo al grande traguardo di tagliare a meta' le nostre emissioni (e vedremo nelle prossime puntate a che costo!), avremo ridotto le emissioni globali di un misero 5%.


Una inezia che non cambiera' minimamente il corso degli eventi.


Se credete davvero che il pianeta stia andando incontro alla catastrofe, invocare misure immediate all'Europa o ancora peggio al vostro (piccolo) governo, e' equivalente al famoso tizio che si mette a svuotare l'oceano con un cucchiaio.


E chiariamo, questi dati non derivano solo dal fatto che in Cina sono oltre un miliardo di anime. Infatti la cosa interessante e' che ormai la Cina ha superato anche gran parte dei paesi europei (tra i grandi paesi rimane solo la Germania da battere) come emissioni per-capita. Ancora piu' sorprendente e' il grafico dell'andamento nel tempo:



Il trend della crescita delle emissioni e' impressionante e dopo la lunga pausa seguita alla Grande Recessione del 2009, le emissioni cinesi hanno ripreso a crescere .


Vi sono molte considerazioni da fare su questi numeri. La prima cosa e' che la Cina e' diventata nel tempo la manifattura del mondo, dunque una parte di queste emissioni sono dovute a beni consumati poi in occidente. Questo tema e' importante, come dicevo in post precedenti, alcune politiche pubbliche che si vorrebbero implementare (ad esempio proprio la Carbon-Tax di cui parlavamo la settimana scorsa) nella sola UE hanno questo difetto di semplicemente spostare le emissioni in altre parti del mondo. Bisogna tenerne conto nel pensare alle soluzioni, altrimenti si rischia semplicemente di danneggiare l'industria europea, mettersi in pace la coscienza, ma lasciare il problema inalterato. Ad ogni modo, sempre sul sito OurWorldinData trovate i dati calcolati in base ai consumi invece che alla produzione, ma il quadro non cambia sostanzialmente (anche se a livello per-capite i cinesi tornano leggermente al di sotto della maggior parte dei paesi europei).


L'altra considerazione e' la cosiddetta "responsabilita' storica", nel senso che noi occidentali abbiamo avuto la possibilita' in passato di bruciare combustibili fossili e siamo responsabili delle concentrazioni di C02 attuali. Ma esattamente per quanto tempo ancora sara' principalmente colpa nostra? Qui il grafico.

L'UE ha ancora un vantaggio di circa 150 miliardidi tonnerllate di CO2. Ai ritmi odierni la Cina ci avra' superato solo fra 20-25 anni, tuttavia come dicevo le emissioni cinesi hanno ripreso a correre, mentre quelle europee sono in declino da tempo. Dunque probabilmente il sorpasso avverra' prima.


Tutto cio' per dire che l'unico modo per affrontare il problema e' trovare soluzioni globali, dunque tirare a bordo gli USA, ma soprattutto Cina e India (altro gigante in crescita). Corretto credere che la nostra responsabilita' ci impone un costo maggiore, ma se vogliamo risolvere il problema non possiamo prescindere dal coinvolgimento serio di questi altri paesi del mondo.


Di solito a questo punto l'argomentazione di chi invoca azioni immediate e' il seguente: "l'Unione Europea deve dare l'esempio, gli altri seguiranno". La stessa UE lo dice nei documenti tra i propri obiettivi. Ecco, sara' che tendo ad essere piuttosto cinico nella valutazione dei rapporti politico-diplomatici, ma credo che sia un'idea ingenua smentita dai fatti e dalla logica.


Si tratta infatti di un classico problema di free-riding, in cui gli attori possono semplicemente beneficiare degli sforzi altrui. Per fare un esempio, pensate ad un gruppo di coinquilini che deve pulire il bagno. Tutti vorrebbero che qualcuno lo facesse, ma nessuno prende l'iniziativa. Ad un certo punto il coinquilino Europa prende in mano guanti e spugna e si mette al lavoro. Qual e' la probabilita' che gli altri lo seguano? E quale invece che gli altri ringrazino di cuore e continuino a farsi gli affari propri?


Ecco, nel mio esempio, come nel rapporto tra stati, le cose sono complesse, perche' vi sono mille interazioni, amicizie, scambi e anche dispetti. Ma non e' un caso che nella maggior parte delle case condivise ad un certo punto compaia una lista indicante i "turni delle pulizie" o si opti per appaltare direttamente la faccenda ad un esterno.


E se neppure l'esempio vi ha convinto, semplicemente guardate ai fatti degli ultimi 25 anni, da quando a Kyoto si firmarono in primi accordi internazionali per diminuire le emissioni, rinnovati e riconsiderati nel tempo, senza mai farne un bilancio e soprattutto senza alcuna conseguenza per tutti coloro che non li seguivano, o gli abbandonavano, come da ultimi gli USA di Donald Trump, che sono usciti dagli accordi di Parigi senza conseguenze. E a proposito degli accordi di Parigi, anche qui c'e' da registrare che, con qualche notevole eccezione, nessuno pare in grado di rispettare gli obiettivi prefissati, come potete notare qui.


Dunque siamo spacciati?


Manco per idea. Nelle puntate precedenti ho provato a convincervi che abbiamo tempo per agire.

L'Unione Europea fa bene nel cercare ancora accordi internazionali, che siano pero' allo stesso tempo vincolanti e ragionevoli. I paesi in via di sviluppo hanno giustamente altri problemi ben piu' pressanti dell'ambiente da risolvere.


Tuttavia nel frattempo, sono personalmente favorevole mantenere la pressione di una Carbon-Tax Europea (o dell'equivalente odierno del sistema di quote di emissione), poiche' questo incentivo potrebbe dare alle nostre imprese la leadership nella ricerca di soluzioni di mercato.


Questa e' la sfida vera.


L'Unione Europea non puo' pensare di insegnare al mondo come privarsi di una parte delle proprie comodita', raggiunte grazie anche all'utilizzo intenso di combustibili fossili. Non possiamo pensare di insegnargli come regredire, tornando alle barche a vela, ai vestiti fatti a mano o alla agricoltura a chilometro zero, perche' per il resto del mondo regredire significa tornare in una situazione di sottosviluppo.


Queste soluzioni sono dunque totalmente fuori bersaglio. Il problema non e' ridurre le emissioni nella sola Europa, risparmiando su qualche lusso, come un viaggio aereo o facendo qualche altro lodevole sacrificio, piu' che compensato da una sola nuova centrale elettrica cinese a carbone.


L'Europa puo' invece insegnare come avere le stesse cose emettendo meno CO2. O addirittura assorbendola dall'atmosfera. Per far cio' necessitiamo che il nostro "sistema" funzioni a pieno ritmo, come ha gia' fatto molte volte in passato, alleando ricerca scientifica, impresa e lavoratori per tirare fuori dal cappello nuove e importanti tecnologie in ogni campo che risolvano il problema definitivamente. Nessuna ritirata dunque, dobbiamo correre in avanti.




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