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Comparare costi e benefici: la Carbon-Tax

Fino ad un decennio fa, il tema del cambiamento climatico non era molto approfondito dagli economisti. Il prof. Boldrin, al minuto 18:30 di questo video (interessante anche per molte altre considerazioni sul tema) me ne ha fornito una spiegazione che trovo convincente: dal punto di vista teorico è un tema non nuovo, dal punto di vista empirico, è una cosa davvero complicata ed estremamente dipendente da assunzioni e misurazioni contestabili.

Il problema della C02 è una cosa che gli economisti hanno studiato e (teoricamente!) risolto decenni fa. La C02 è un elemento inquinante che in gergo economista chiamiamo esternalità negativa. In poche parole, a differenza dei soliti beni per i quali, come abbiamo visto qui, il sistema tende automaticamente a rieqilibrarsi, le emissioni di C02 sono un effetto indesiderato di produzione o consumo che danneggia gli altri, ma senza che gli inquinatori paghino per il danno che compiono. Non vi è dunque un prezzo di mercato. Il risultato dannoso è che chi emette, lo fa troppo rispetto a ciò che sarebbe socialmente ottimale, perchè non ne paga le conseguenze. Se infatti pagasse per il suo danno, ridurrebbe le sue emissioni e quello sarebbe il livello ottimale.


Penso possiate intravedere la soluzione: una tassa sulle emissioni. In questo modo chi inquina paga e si raggiunge il livello ottimale. Questo è il principio della Carbon-Tax, sostenuta da una schiera impressionante di economisti. Diciamo subito una cosa ovvia ma che di solito non piace: il livello ottimale di emissioni è difficilmente zero, per motivi molto semplici: a mano a mano che riduciamo l'inquinamento, ogni ulteriore riduzione fa poca differenza e invece ogni ulteriore compressione della produzione diventa più costosa. Immaginatevi rinunciare un poco alla volta a tutto, ad un certo punto anche luce e gas per riscaldarvi. Non c'e' dubbio che quel poco di emissioni hanno un gran valore positivo: vale la pena tenerle, anche al costo di un po' di inquinamento.


Tornando alla Carbon-Tax. Qual e' il gran vantaggio di questa soluzione? Che una volta misurate le emissioni per la produzione e l'utilizzo di questo o quel bene, permette agli individui di scegliere liberamente cosa consumare o produrre tenendo conto del danno che impongono agli altri, senza che lo stato debba far altro. In particolare, senza dover vietare/tassare/sussidiare questo o quel bene o forma di energia.


Vi sarete resi conto che invece il discorso pubblico e' esattamente concentrato su questo secondo tipo di interventi. Sussidi, divieti, tasse specifiche, cambio di abitudini. Non voglio rovinare qui una mia puntata sulle misure oggi portate avanti, ma anticipo che tutte queste politiche hanno generalmente scarso effetto pratico, ma grande impatto politico. Sono misure molto costose (ad esempio le sempre più pesanti pressioni sul settore automobilistico, pezzo importante dell'economia europea, lo stanno mettendo a rischio crack finanziario) ed usate per mettersi in pace la coscienza , ma che lasciano irrisolto il problema o peggio lo aggravano: difatti la gente spesso trova sostituti altrettanto o più inquinanti dei precedenti. L'esempio più semplice è l'idea di tassare l'acquisto di nuove automobili, al quale la gente risponde tenendosi l'auto vecchia, la quale però emette più C02 di una automobile nuova.


Esiste, tuttavia un probelma legato alla Carbon-Tax: bisogna quantificare i danni che la C02 comporta. E questo è incredibilmente complesso per quello che vi dicevo la settimana scorsa. Tuttavia il tema è diventato così rilevante nel dibattito politico che anche nell'economia l'attenzione per questa quantificazione è salita moltissimo, al punto di consegnare il premio nobel del 2018 a Nordhaus, esperto economista proprio sulla quantificazione dei danni del climate change.


Qui vorrei portare un poco di numeri dell'ultimo suo lavoro, che mi hanno ulteriormente convinto che "aspettare e vedere" o al più sburocratizzare, smantellare tutta quella giostra di sussidi e divieti incrociati e permettere alla libera iniziativa di trovare soluzioni innovative, sia per l'Europa la strategia migliore.


Il punto principale del paper e' quantificare la Carbon -Tax: il costo stimato di 1 tonnellata di co2 emessa era 30$ nel 2015, cresce di circa il 3% annuo. Tuttavia tale costo dipende molto da molte assunzioni. Vi è anche un tentativo di stima dell'incertezza sia all'interno dei modelli, che tra i diversi modelli. Usando questa stima la carbon tax ottimale varia da 7$ a 77$. Riporto qui di seguito le assunzioni più problematiche.

  1. Il tasso di sconto del futuro: è ragionevole assumere che i costi oggi siano più importanti di quelli domani. Ma quanto "scontare" esattamente i danni nel 2100? Questo parametro è importantissimo, nel paper si nota come al suo variare l'ottima carbon tax passa da meno di 20$ a oltre 100$. Il parametro "giusto" dipende da moltissimi fattori economici ma anche personali: una persona che tende a vivere "alla giornata" darà pochissimo peso al futuro, altri invece naturalmente tendono a preoccuparsi del lungo periodo. Non vi è una risposta "giusta" e questo per me spiega anche parte dello scontro politico tra chi chiede azioni immediate e chi invece vuole solo continuare la propria vita. Sono posizioni entrambe legittime.

  2. Le previsioni di aumento della temperatura. Il modello assume che il mondo sara' 4 gradi piu' caldo nel 2100 rispetto al 1900. Non certo una ipotesi conservativa, ma di questo abbiamo parlato la settimana scorsa.

  3. I danni (non solo economici) sono stimati in circa il 2,1% del PIL mondiale, se il mondo rimane entro i 3 gradi di aumento e ben all'8,5% del PIL se l'aumento arrivera' a 6 gradi. Qui si contano sia i danni diretti, che aumentano più che proporzionalmente al crescere della temperatura (funzione quadratica), che i costi associati con i necessari adattamenti (ad esempio per l'aumento del livello del mare).


Emerge dunque una grande incertezza, ma che se vogliamo prendere il valore centrale di 30$, non è per nulla distante da ciò che oggi le industrie europe pagano (25€, cioè circa 28$) nel mercato delle quote europeo. Inoltre ogni europeo paga diverse forme di tasse sui carburanti e in alcuni paesi la Carbon Tax è già realtà. Potete seguire i dettagli delle varie Carbon Tax qui.


Il mercato delle quote europeo era stato pensato proprio con una idea simile alla Carbon-Tax, con un pizzico di centralismo in più, infatti l'UE fissa arbitrariamente degli obiettivi di riduzione delle emissioni e successivamente concede le quote, le quali verranno prezzate sul mercato. Il risultato è lo stesso della Carbon-Tax, ma sarà la politica a decidere quale è il livello ottimale di emissioni.

Comunque , tutta Europa quindi è oggi circa a livello ottimale (secondo il paper), ma per molti paesi europei siamo pure ben oltre. E non consideriamo le altre accise sui carburanti, nonchè il mare magnum di sussidi, incentivi e "norme ecologiche".


Questo fatto è poco conosciuto, infatti il racconto recente sarebbe che "non stiamo facendo niente" e sarebbe necessaria una svolta importante. Tutto ciò non è semplicemente vero. Questa parte del mondo sta già compiendo la sua parte, in molti casi più del necessario. Ma soprattutto fare di più ha dei costi importanti, dei quali va tenuto conto. Non comprendo nemmeno il racconto secondo cui l'opinione pubblica europea non è consapevole del problema. Qualsiasi sondaggio dice esattamente il contrario. La schiacciante maggioranza degli europei capisce il problema e vuole anche fare qualcosa per prevenirlo o almeno gestirlo, anche se poi spesso si rifiuta di pagare ulteriori costi. Ma è un atteggiamento paradossalmente supportato dai dati.


Forse il focus dovrebbe spostarsi invece sul come convincere il resto del mondo ad unirsi in questa battaglia comune, senza dimenticare certamente la nostra responsabilità storica nelle emissioni, ma cercando soluzioni che siano efficienti e condivise. Di questo parlerò più avanti.

 

Per chi mastica un po' di più di economia, volevo consigliare anche questo altro paper sull'argomento , dove gli autori riprendono il modello di Nordhaus, ma inseriscono alcune importanti variazioni: incertezza e innovazione tecnologica nella produzione di energia, in un equilibrio generale. Anche in questo lavoro si trovano numeri simili a quelli precedenti, tuttavia sempre con ampia incertezza, che dipende dai fattori sopra citati, ma anche dall'innovazione tecnologica e il grado di sostituibilità tra diverse fonti energetiche. Inoltre, gli autori stessi nel paper indicano che sebbene tentino di far entrare l'incertezza e i suoi costi nel loro modello, ovviamente la scelta di come modellarla non è affatto neutra. La cosa interessante che emerge comunque è che la Carbon-Tax potrebbe essere pensata come una quota più o meno stabile del PIL, aggiornata a mano a mano che nuove informazioni si rendono disponibilit sui danni previsti e sull'accumulo di C02 in atmosfera.










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